Zone Training e sue premesse
Ho annoverato da tempo lo Zone Training tra le tecniche H.I.T. ( tecniche di Alta Intensità ) in quanto la gestione di Intensità, Volume e Frequenza è quella tipica delle metodologie ad alta intensità.
Questa metodologia è stata sviluppata dal tecnico canadese Brian D. Johnston nel 2004.
L’idea che sta alla base della metodica è quella che nella maggior parte degli esercizi che facciamo, sia con manubri e bilancieri che con le macchine, possiamo scomporre il movimento in 2 momenti ben precisi: la fase facile e quella difficile.
La fase difficile è quella in cui per vari motivi legati essenzialmente allo svantaggio di leva o al tipo di attrezzatura che stiamo utilizzando lo sforzo percepito ( possiamo anche dire effettivo ) è molto alto e rimane così fino al raggiungimento di un punto in cui lo svantaggio di leva cessa ( o la distribuzione del carico nelle macchine varia ), da quel punto in poi l’esercizio diviene molto più facile.
Facciamo un esempio per meglio rendere il concetto: prendiamo il Curl con bilanciere in piedi, la parte difficile è quella del sollevamento del bilanciere dalla posizione di massima estensione del braccio fino al raggiungimento dei 90 gradi tra Ulna e Omero, da quel momento in poi continuare a sollevare il bilanciere diventa relativamente più facile.
E’ interessante ricordare che se invece prendiamo in esame l’esercizio sotto l’aspetto fisiologico sappiamo che a mano a mano che il bicipite si contrae aumentano le unità motorie reclutate arrivando a toccare il massimo del reclutamento nel punto di massima contrazione ( peak-contaction ), in questo punto il muscolo è in grado di esprime quindi la sua massima forza.
Nel Curl con bilanciere che abbiamo usato come esempio, a mano a mano che procediamo nel sollevamento del carico, diventiamo sempre più forti, tuttavia, passato il punto di massima difficoltà ( i 90 gradi tra Ulna e Omero ), la resistenza diminuisce progressivamente riducendo l’impatto totale sul nostro bicipite proprio nel momento in cui più ne avremo bisogno.
Questo, se ci pensate bene, avviene naturalmente su ogni esercizio che facciamo sia con manubri e bilancieri che alle macchine.
Lo Zone Training si basa quindi su questa “semplice” intuizione: dividere l’arco di movimento in due zone distinte; la zona facile e quella difficile per poi allenarle una di seguito all’altra.
Le due zone vengono quindi allenate partendo da quella difficile ed una volta raggiunto il cedimento muscolare ( che normalmente avviene con un quantitativo di mini-ripetizioni che vanno da un minimo di 8 ad un massimo di 12 ) nella zona allenata si passa senza riposo ( o introducendo una piccola pausa di non più di 5 secondi ) ad allenare la zona più facile, che però, a questo punto, risulterà anch’essa difficile in quanto ci troviamo con un muscolo già notevolmente affaticato dal lavoro precedentemente eseguito.
Naturalmente anche per lo Zone Training ( da ora in poi ZT ) come per l’Heavy Duty ( da ora in poi HD ) esiste una modalità ben specifica di esecuzione che caratterizza la serie allenante.
Sia nell’HD che nello ZT l’attenzione è sempre riposta sul tempo totale necessario a raggiungere il cedimento muscolare, avendo ben chiaro, ad entrambi gli autori, che è necessario terminare la serie in tempi idealmente sotto i 90 secondi in modo da coinvolgere principalmente le fibre bianche di tipo IIA e IIX, intermedie e veloci ( per tutti coloro che volessero approfondire questi temi consiglio di leggere il mio primo libro: “L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio“, dove tratto l’argomento con dovizia di particolari ).
Johnston con la sua metodica non vuole creare una nuova versione di un allenamento fatto attraverso l’uso di serie parziali, egli sa bene che il lavoro attraverso movimenti parziali porta ad uno sviluppo incompleto e non equilibrato dei muscoli lavorati, aumentando anche di molto il rischio di infortunio in allenamento.
Quello che propone Johnston non è l’abolizione di uno stimolo completo, ma la scomposizione dell’esercizio in zone successive di lavoro.
In questo modo il muscolo viene comunque allenato nell’intero arco di movimento ( R.O.M. ), ma l’attenzione qui viene focalizzata sulla creazione di uno stress continuo ripartendolo equamente su tutto l’arco di movimento a differenza di quello che succedeva precedentemente, dove invece, per motivi fisiologici o meccanici, ci trovavamo a lavorare con resistenze diverse lo stesso muscolo durante il suo R.O.M. ( Range Of Movement ).
Le conseguenze per la crescita ed il coinvolgimento muscolare che derivano dall’applicazione di questa metodologia tuttavia non si esauriscono qui, le implicazioni secondarie, ma non meno importanti, derivanti da un allenamento di questo tipo coinvolgono anche altri aspetti legati alla fisiologia della contrazione muscolare:
- Analizzando il sistema, quello che emerge immediatamente è il gran numero di mini-ripetizioni all’interno di una serie allenante ( da un minimo di 16 ad un massimo di 24 ); Johnston ama ricordare nei suoi libri che lo ZT non è una metodologia dove si facciano molte ripetizioni, ma va considerato come un sistema ad alto numero di contrazioni nella singola serie.
- Il numero di serie da eseguire per un gruppo muscolare non è fisso, il parametro di riferimento per terminare l’allenamento di una data area è il raggiungimento del suo massimo pompaggio, una condizione questa che si traduce in una momentanea difficoltà oggettiva e soggettiva di contrazione totale del muscolo allenato in virtù della pressione idraulica indotta dall’alto richiamo di sangue intramuscolare come diretta conseguenza dell’alto numero di mini-ripetizioni ( effetto pompaggio ).
- Spostamento dell’enfasi del lavoro dalla sezione centrale del muscolo, come normalmente avviene nelle altre metodiche che impiegano il R.O.M. completo di movimento, alle estremità dello stesso che coincidono con i punti di origine ed inserzione dei tendini.
- Sperimentazione di una sensazione di pompaggio estremo.
Vedremo più avanti nel libro come queste caratteristiche intrinseche ed uniche di questa metodologia di allenamento integrano e completano quelle dell’HD.
Non è scopo di questo manuale riscrivere e descrivere la due metodiche di allenamento ( HD e ZT ).
Per chi non conoscesse ancora queste tecniche di allenamento consiglio vivamente la lettura dei libri scritti da Mike Mentzer e Brian D. Johnston sul tema, così come per fare i necessari e dovuti approfondimenti:
– Zone Training ( il metodo Johnston Rep ) di Brian D. Johnston edito da Sandro Ciccarelli editore.
– High Intensity Training( The Mike Mentzer way ) scritto da Mike Mentzer.
Articolo tratto dal libro: “Protocollo Ibrido HD/ZT” di Enrico Dell’olio
https://www.youtube.com/watch?v=ey48ClR8sfc
Pingback: Camp Heavy Duty teorico/pratico a Brescia presso la HITA
Ciao Enrico, l unico dubbio che ho è quando usare le tecniche di intensità. Ho capito che bisogna dosarle ad es. Se faccio 3 serie per gruppo muscolare normalmente ne faccio solo 2 ma ad alta intensità in modo da ridurre il volume e mantenere la frequenza uguale. Ma poi la volta successiva posso tornare ad allenarli normalmente o faccio la stessa cosa su un altro gruppo muscolare? Premetto che ho acquistato tutti i tuoi 5 libri ma questa cosa non mi è ben chiara
Ciao Salvo, rileggi con attenzione “L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio”, pare che tu non abbia ancora ben compreso i concetti che stanno alla base di Frequenza, Volume e Intensità. E’ un libro che necessita essere studiato e letto più volte per acquisire i tanti concetti in esso descritti