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Esercizio come farmaco, vediamo prima che cos’è un farmaco?

Nella definizione più classica del termine (quella che io preferisco) un farmaco può essere generalmente definito come una sostanza chimica di struttura nota che produce un effetto biologico se è somministrata ad un organismo vivente.

Che cos’è una medicina?

Una medicina è una preparazione chimica che può contenere uno o più farmaci (principi attivi) e abitualmente altre sostanze (eccipienti, stabilizzanti, solventi, ecc.) e viene somministrata per produrre un effetto terapeutico.

Dai primi anni ’90 si parla di “cibo come farmaco” e “alimentazione come medicina”. La farmacologia è arrivata in cucina, applicando ai singoli alimenti e a mix di questi le regole della farmacodinamica e farmacocinetica. Ma non si è fermata qui: la logica conseguenza legata al “cibo come farmaco” che più ha rivoluzionato la dietologia classica ormai quasi del tutto obsoleta è stata quella di considerare ogni alimento come un induttore di risposte biochimico-ormonali e non solo un contenitore di energia sotto forma di calorie e di eventuali micronutrienti. La caloria in questo caso assume un’importanza secondaria rispetto alle risposte neuro-endocrine del cibo.

Quando si parla di “scienza dell’esercizio” o di esercizio in termini generali, molto spesso lo si ritiene, al pari del cibo per la dietologia old school, un meccanismo per consumare calorie, un puro e semplice modo per dimagrire o per aumentare la massa muscolare.

Ritengo invece, come del resto molti altri scienziati e tecnici del settore, che l’esercizio vada trattato esattamente come il cibo, ovvero considerare l’esercizio come farmaco in grado di accendere o spegnere determinate vie metaboliche nel nostro organismo attraverso una potente reazione a cascata data dal rilascio di determinati ormoni.
Il primo problema con questa definizione sorge spontaneo ed è meramente legato alla definizione di farmaco e medicina, inequivocabilmente legate a molecole di qualche tipo assunte dall’organismo in una certa quantità.

Come possiamo parlare di farmaco se, tecnicamente, non vengono introdotte molecole durante l’esercizio?

Un farmaco per essere tale deve essere scelto in funzione della patologia da curare o alleviare, essere somministrato in una certa dose con una certa frequenza per dare un certo effetto metabolico, avere pochi o nessun effetto collaterale.

E l’esercizio?
Con un pizzico di immaginazione e di svincolamento da dogmatismi, proviamo a pensare a come considerare l’esercizio come farmaco:

tipo di farmaco: un certo tipo di esercizio può essere scelto in funzione della sintomatologia del paziente. Ad esempio persone con uno sbilancio tra sistema nervoso simpatico e parasimpatico a favore del simpatico dato da stress cronico non gestito potranno essere indirizzati verso esercizi che stimolano il riequilibrio del sistema nervoso autonomo come tecniche di rilassamento e meditazione. Pazienti sarcopenici potranno invece essere indirizzati verso esercizi contro resistenza in palestra.

dose e frequenza: qui entra in gioco la sensibilità del professionista e la valutazione soggettiva (come del resto dovrebbe avvenire anche per le dosi dei farmaci). Una volta scelto il tipo di approccio terapeutico “exercise-based” dovremo andare a “dosare” l’esercizio in termini di intensità/volume (parametri inversamente proporzionali tra loro) e, trovata la giusta dose in grado di scatenare l’effetto metabolico desiderato, ricamarci attorno la corretta frequenza. Solo con questo tipo di logica saremo sicuri di non fornire una dose eccessiva ( o non sufficiente) di stimolo troppo (o troppo poco) frequentemente.

effetti collaterali: come per il farmaco, esistono anche per l’esercizio degli effetti collaterali, ma molto più blandi e a lungo termine rispetto ai farmaci convenzionali. Se infatti per il farmaco esistono reazioni allergiche anche a dosi bassissime di assunzione in persone predisposte (si pensi alle tetracicline), non esistono ad oggi dati di “allergia da esercizio” in letteratura.Gli effetti più comuni legati al sovradosaggio di esercizio nel tempo sono legati al sovrallenamento (troppo esercizio troppo frequentemente). Anche questo parametro è legato alla soggettività del paziente, ovvero al suo grado di tolleranza all’esercizio. Anche qui la sensibilità del professionista è cruciale per scongiurare questo effetto collaterale legato all’esercizio.

Nella seconda parte dell’articolo illustrerò alcuni esempi di “exercise therapy” ( esercizio come farmaco ).