fbpx
Articoli allenamento, Bodybuilding

Allenamento pliometrico ed infortuni (prima parte)

L’allenamento pliometrico può migliorare la velocità, la forza e la potenza. Può anche causare infortuni gravi? Ecco a voi un riassunto di ciò che emerge dagli studi effettuati.

Un atleta affamato di successo è costantemente alla ricerca di nuovi prodotti e tecniche di allenamento.

Nella scorsa decade l’allenamento pliometrico ha aumentato la sua popolarità ed è oggigiorno considerato un metodo di allenamento essenziale per atleti che competono in vari sport.

Donald Chu, uno degli scrittori più prolifici in questa zona, considera gli allenamenti pliometrici come il “congelamento di una torta”, ovvero questo metodo può migliorare le abilità di un atleta, permettendogli di rimanere al top del suo sport praticato (1992). Donald Chu non è l’unico a dire questo e molti altri allenatori rispettabili credono che, quando eseguito correttamente, esso possa migliorare velocità, forza, accelerazione ed esplosività.
Quindi dovremmo andare tutti fuori e iniziare a saltare da edifici alti nel tentativo di migliorare la nostra performance atletica? Bene, la risposta a questa domanda, una volta analizzata la ricerca scientifica è: guarda prima di saltare. Non tutti nel mondo della preparazione fisica sono entusiasti come Chu.

Come è stato ormai dimostrato che gli steroidi sono deleteri per la salute di un atleta, l’evidenza ci suggerisce che i miglioramenti avuti praticando l’allenamento pliometrico possono essere resi vani dal rischio di gravi infortuni attribuiti a questo metodo, se non praticato correttamente (Horrigan & Shaw, 1989).

Solo per farti ricordare

Prima di arrivare al nocciolo della questione, ecco a voi una breve storia seguita da una guida di base alla fisiologia della pliometria. La pliometria non è un concetto nuovo (Gambetta 1992). Il termine deriva dalla parola latina “Plyo” e “metria” può essere interpretata come “incrementi misurabili”. I migliori atleti di molti sport hanno usato la pliometria per più di 30 anni. Uno dei primi sostenitori di questo metodo fu Yuri Verhoshanski (Radcliffe & Farentinos, 1985).

Esercizio pliometrico: il salto in profondità           

Nel 1975 Fred Wilt, un allenatore americano, chiamò pliometria ciò che prima veniva chiamato “salto con rimbalzo” (Bobbert, 1990).
Sport come i 100 metri piani, la ginnastica e il basket necessitano di muscoli in grado di raggiungere una contrazione massimale nel minor tempo possibile (Lundin & Berg, 1991).

La letteratura corrente enuncia che le componenti elastiche del muscolo e i motoneuroni sono di primaria importanza (Thomas, 1996; La Chance, 1996). I due propriocettori più importanti sono il Corpuscolo di Golgi (G.T.O.) e i fusi neuromuscolari (MS) (Lundin & Berg, 1991).  Quando allungati i fusi mandano un segnale lungo la colonna vertebrale innescando una risposta motoria (Astrand & Rodahal, 1986).

L’entità dell’allungamento determina l’entità della riflesso di stiramento; un più ampio e rapido allungamento causa un aumento del riflesso di stiramento e conseguentemente una contrazione muscolare più forte (Lundin & Berg,1991).

La tensione potenzialmente dannosa è inibita dal Corpuscolo di Golgi, salvaguardandoci dall’infortunio (Astrand & Rodahl, 1986). Le proprietà elastiche del tessuto muscolare contribuiscono fino a due terzi del lavoro totale concentrico mentre eseguiamo una serie di salti in verticale (Fukashiro et al 1983; citato in Lundin & Berg, 1991). Le ricerche indicano che si possono ottenere risultati migliori nelle contrazioni concentriche se prima precedute da un lavoro eccentrico, inoltre per ottenere il massimo del risultato possibile il passaggio da contrazione eccentrica a concentrica deve essere il minimo possibile (Aura & Komi, 1986); Wilson, Elliot & Wood, 1990).

Per riassumere, i miglioramenti in potenza e nella performance nel salto potrebbero essere attribuite alla natura elastica delle fibre muscolari e agli affetti del riflesso miotatico. Comunque, Lundin sottolineò che il contributo che questo ha sulla performance è difficilmente quantificabile.

E per quanto riguarda gli infortuni?

Horrigan & Shaw (1989) sono preoccupati dal fatto che ci sono molti fattori da considerare sia da atleti che da allenatori prima di iniziare un programma di allenamento pliometrico. Un ortopedico dei Dallas Cowboys e dei Dallas Mavericks, J.P. Evans, ha constatato che la maggior parte degli infortuni a cui assisteva erano causati dall’allenamento pliometrico e non da altri tipi di allenamento (Wikgren, 1988).

I critici della pliometria si sono concentrati principalmente sul più provante degli allenamenti pliometrici, è il salto in accosciata. La tecnica richiede che il partecipante salti da una piattaforma rialzata e, una volta atterrato, esegua immediatamente un salto. Alte forze d’impatto sono associate con questa tecnica di allenamento avanzata.

Studi di Boocock, Garbutt, Linge, Reilly & Troup (1990) e Fowler et al (1994) hanno stimato il rischio di infortunio in termini di compressioni spinali seguendo atleti che eseguivano il salto in accosciata, mentre studi di Pezullo, Irrgang & Whitney (1992) hanno collegato attività pliometriche con l’inizio di tendiniti.

Schiacciamenti vertebrali

Coloro che prendono parte a sport in cui vi sono numerose attività ad alto impatto sono stati identificati come un gruppo a rischio per dolori alla schiena e infortuni (Alexander, 1985).

La porzione lombare della colonna vertebrale è stata indicata come una delle aree più suscettibili ad un infortunio. Lo stress generato dal muovere le parti del corpo deve essere distribuito lungo l’unico supporto che unisce la parte superiore del corpo con quella inferiore (Alexander,1985).

Lo schiacciamento è attribuito a delle modificazioni nei dischi intervertebrali causate da compressioni (Fowler et al, 1994; Boocock et al, 1989). Studi da parte di Markolf (1972), citati da Boocock et al (1990), indicano che le caratteristiche dinamiche dei dischi intervertebrali cambiano quando la colonna tende ad essere compressa da un carico, culminando con il restringimento e l’irrigidimento di questi ultimi, predisponendoli all’infortunio. Le compressioni vertebrali sono state collegate con il salto in accosciata (Boocock et al, 1990; Fowler et al, 1994; Bryzcki, 1986).
Fowler et al (1994) riportarono che l’esercizio ripetitivo ad alto impatto come il salto in accosciata ha evidenziato una diretta correlazione sullo schiacciamento vertebrale. E’ proprio questo estremo livello di intensità che produce forze di reazione eccessive (Boocock et al, 1990).

Studi indicano che il sistema muscolo-scheletrico è soggetto a forze di impatto tra 3 e 5 volte più pesanti del peso corporeo durante l’atterraggio da una attività pliometrica. Radcliffe (1988) riportò che la maggior parte degli infortuni occorsi durante allenamenti pliometrici avvennero durante la fase di impatto al suolo durante il salto.

Le scoperte di Boocock et al mostrarono che una sessione di salti in accosciata che dura solo sei minuti induceva un carico alla colonna vertebrale, abbassando così di 1,74 mm la statura media degli atleti analizzati.

Boocock et al (1990) usarono una piattaforma di partenza alta 100 cm, ben oltre l’altezza ottimale di salto di 20-40 cm consigliata da Bobbert, Huijing & Van Ingen Schenau (1987) e Fowler et al (1995). Queste scoperte indicano il potenziale rischio di infortunio se gli atleti praticassero questi balzi ad altezze sconsigliate.
Fowler et al (1994) usarono il protocollo di misurazione di Boocock, ma l’altezza della piattaforma durante lo studio di Fowler era di soli 26 cm. Il loro esperimento produsse una riduzione media di statura di 0,62 mm.

Fowler continuò ad aggiungere pesi ai soggetti analizzati durante l’esecuzione dei balzi, riducendo ulteriormente la statura di 2,14 mm. Lo studio di Fowler mostra chiaramente gli alti livelli di carico a cui è sottoposta la colonna vertebrale quando si usa un sovraccarico, anche se la pedana è alta solo 26 cm.

Per leggere la seconda parte dell’articolo clicca qui