L’allenamento è una forma di stress…
Di Francesco Currò
Lo stress è un argomento molto comune ai giorni nostri. Anche il medico della mutua dichiara ormai tranquillamente che lo stress è la malattia del secolo. Sono stressati gli impiegati, sono stressate le mamme, sono stressati i nonni e perfino i bambini. Tale tema è trattato in migliaia di articoli sui giornali, in TV ed è uno degli argomenti favoriti nei salotti; è così tanto comune che spesso il suo significato può venire frainteso. Per fornire una definizione precisa di stress, ecco quella di Hans Selye (il primo studioso dello stress): “lo stress è lo stato manifestato da una sindrome specifica costituita da tutti i cambiamenti non specifici indotti all’interno del sistema biologico”. In altre parole, ciò significa che lo stress ha delle caratteristiche ed una composizione specifica ma non ha una causa unica.
Il corpo umano è continuamente sottoposto a fattori che producono stress. Tanto per citarne alcuni, questi includono il rumore, la luce, il calore, il freddo, gli additivi chimici, i virus, i batteri, le tensioni familiari, le dinamiche relazionali disturbate, le angosce nevrotiche ed anche (udite, udite) l’attività muscolare. Come sottolineato sopra, questi stimoli così diversi tra loro possono indurre uno stato di stress, la cui forma, indipendentemente dalla causa scatenante, è sempre molto specifica.
Selye definisce la reazione specifica allo stress “Sindrome da Adattamento Generale” (G.A.S.). Tale sindrome si suddivide in tre diversi livelli: una reazione di allarme generale, uno stato di resistenza e, se lo stress persiste, una fase di esaurimento. In pratica, prima ci mettiamo in allarme e poi ci abituiamo. Solo uno stress particolarmente intenso e prolungato ci porta alla terza fase, cioè all’esaurimento, ed oltre certi limiti alla morte (non spaventatevi non accade spesso).
Verso la fine del 1800 il medico francese Claude Bernard dimostrò che una delle caratteristiche peculiari degli esseri viventi è la loro abilità a mantenere costanti i fattori interni del corpo nonostante i cambiamenti nell’ambiente. Tanto per fare un esempio, una persona esposta prima al caldo e poi al freddo non cambia la propria temperatura corporea. Tale abilità, definita come omeostasi, è una diretta conseguenza proprio della sindrome da adattamento generale.
Dopo tanti discorsi particolarmente tecnici e magari piuttosto astratti ecco adesso qualche esempio pratico al fine di far capire meglio i concetti.
Molte persone d’estate si distendono al sole per abbronzarsi. Essenzialmente ci si abbronza per motivi estetici, ma il nostro corpo questo non lo sa. L’abbronzatura in realtà non è altro che l’adattamento finalizzato a proteggere in nostri tessuti dallo stress causato dalle radiazioni ultraviolette.
Il processo di adattamento è quindi una forma di difesa ed il livello dell’adattamento è direttamente proporzionale all’intensità dell’agente stressante.
Per comprendere meglio quest’ultimo concetto, rispondete alla seguente domanda: avete mai provato ad abbronzarvi d’inverno? Potete stare distesi al sole per intere giornate senza ottenere alcun risultato (tranne quello di prendervi una polmonite). Il motivo di ciò è che in quel periodo l’irraggiamento solare non è particolarmente intenso e quindi anche esposizioni ripetute e di lunga durata stimolano reazioni minime se non addirittura nulle.Cosa avviene invece se ci esponiamo al sole d’agosto a mezzogiorno? La reazione del corpo è immediata e direttamente riscontrabile: c’è un arrossamento iniziale ed un’infiammazione della pelle. Ovviamente ciò corrisponde allo stadio di allarme della sindrome di adattamento generale definita da Selye. Nella fase di allarme il corpo guadagna tempo per lo sviluppo e la mobilitazione di un fenomeno di adattamento nella regione interessata. Nel caso specifico, il corpo mobilita le sue riserve di melanina (il famoso pigmento della pelle) per far fronte all’esposizione agli intensi raggi ultravioletti provenienti dal sole. Se l’esposizione è ripetuta, allora l’adattamento passa alla seconda fase: lo stadio di resistenza. È proprio in questa fase che prende corpo una sovracompensazione che dà luogo alla formazione dell’abbronzatura. L’energia interessata nel processo di adattamento, o energia di adattamento come la definisce Selye, è limitata e se prolunghiamo l’esposizione al sole intenso andiamo a finire nel terzo stadio della sindrome da adattamento generale, la fase di esaurimento. Nella fase di esaurimento, le riserve locali di energia di adattamento sono ormai consumate e così invece di ottenere una compensazione maggiore con l’abbronzatura, il corpo decompensa, e perde tessuto con la formazione di vesciche e bruciature. Al solito, se l’esposizione è molto lunga si possono riscontrare lesioni gravi e si può perfino …… passare a miglior vita.
Riassumendo:
Fino ad un certo punto, l’esposizione allo stress indotto dalle radiazioni solari provoca una compensazione maggiore, cioè l’abbronzatura. Se l’esposizione supera il limite massimo consentito, il corpo perde la sua abilità di supercompensare e va verso la decompensazione. Per stimolare il processo di adattamento, quindi, lo stress deve essere intenso ma l’esposizione a tale stress deve essere breve e non frequente in modo che il corpo non esaurisca le riserve di energia di adattamento che consentono la maggiore compensazione.
L’esercizio fisico è, come avevo fatto notare in precedenza, una forma di stress e la crescita muscolare non è altro che una forma di difesa del nostro organismo nei confronti di determinate sollecitazioni. Ciò vuol dire che, applicare i concetti espressi da Selye riguardo la sindrome da adattamento generale al nostro allenamento può renderlo sicuramente più efficace e produttivo.
In pratica, l’esercizio fisico porta all’esaurimento delle riserve locali (è per questo che ci stanchiamo e dobbiamo interrompere l’allenamento) ed innesca la fase di allarme.
Occorre sottolineare che durante la fase acuta dell’azione di allarme, la resistenza ad un agente stressante particolare che ha stimolato la G.A.S., va al di sotto del normale (perdita di capacità funzionale, e nel nostro caso specifico di forza) e ciò è dovuto al fatto che il corpo non ha ancora avuto abbastanza tempo per mobilitare le sue forze difensive, pronte a fronteggiare altri assalti da parte degli agenti stressanti (nel caso specifico, dall’esercizio). La riduzione della resistenza generale del corpo durante lo stadio di allarme fa si che, per molti versi, si presenti un situazione simile a ciò che accade al corpo durante la fase di esaurimento
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Il processo di esaurimento delle riserve locali è, per nostra fortuna, reversibile e tali riserve possono, anche se lentamente, essere rifornite da fonti più profonde che si trovano in altre parti del corpo.
Se lasciamo abbastanza tempo al nostro organismo per ripristinare (o addirittura di compensare in abbondanza) le proprie riserve locali la risposta adattativa è positiva, cioè, nel caso specifico, aumentano (o quantomeno tornano al livello iniziale) la forza a la massa muscolare.
Il problema è che se, invece, non lasciamo il tempo al nostro organismo di ripristinare le proprie riserve locali (o addirittura di compensarle in abbondanza) cominciamo ad attingere, pericolosamente, nelle riserve profonde di energia e ciò ci porta inevitabilmente alla terza fase della G.A.S.: lo stato di esaurimento.
In pratica si noterà una mancanza di risultati, addirittura una perdita di massa e di forza e tutta una serie di sintomi che si traducono in quella situazione che nel linguaggio comune dei body-builders viene identificata col termine “sovrallenamento“.
Prima di continuare, occorre fare una doverosa nota riguardo al fatto che molti body-builders ritengono variabili da individuo ad individuo (o addirittura unici) i requisiti necessari a rendere un allenamento produttivo. La verità è, invece, che la risposta ad un determinato tipo di stress è sempre specifica e quindi così come è necessario un sole intenso per abbronzarsi, è indispensabile un allenamento intenso per aumentare di massa e forza. Certo così come alcune persone si abbronzano più di altre, alcuni individui “crescono” con più facilità di altri, ma la base della risposta adattativa resta l’intensità dello stimolo. Una persona che ottiene discreti risultati con un allenamento moderatamente intenso, ne otterrà di sicuramente migliori se aumenterà l’intensità. Allo stesso modo, cioè in virtù degli stessi principi fisiologici, una persona che con programmi moderatamente intensi ha, invece, ottenuto pochi risultati, aumentando l’intensità potrebbe cominciare ad ottenerne di discreti.
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