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Per capire come funziona il nostro organismo dobbiamo fare un viaggio nel tempo, fino alla preistoria, alla ricerca dei nostri remoti antenati e della loro eredità.

Le esigenze nutrizionali degli uomini contemporanei rappresentano il risultato finale delle interazioni dietetiche fra le varie specie che ci hanno preceduto e da cui ci siamo evoluti ed il loro ambiente.

Primati con aspetto moderno si pensa che siano comparsi circa 50 milioni di anni fa, capire quindi le loro diete durante questo lunghissimo periodo evolutivo è di cruciale importanza per capire il nostro funzionamento.

I cambiamenti nella dieta che si sono succeduti durante questo lunghissimo periodo di tempo hanno determinato continui cambiamenti nelle capacità biochimiche di interazione con i diversi alimenti di volta in volta introdotti.

Questi cambi nutrizionali hanno avuto un’importante impatto evolutivo nel passato, influenzando oggi la salute e la risposta agli alimenti nelle popolazioni moderne.

La natura di queste interazioni può essere meglio capita quando le variazioni dietetiche vengono direttamente comparate alle alimentazioni fatte dai primati oggi esistenti.

Relativamente alla dieta quello che gli studiosi di evoluzione umana e di medicina evoluzionistica necessitano di più sapere dai paleoantropologi è una stima attendibile di quella che probabilmente poteva essere stata l’alimentazione dell’ultimo antenato comune a scimmie e uomini,1’ipotetica specie che si pensa abbia vissuto in Africa circa tra 7 e 5 milioni di anni fa.

Se questa specie fosse stata molto vicina agli attuali scimpanzé e bonobo, vegetali come frutta, foglie e steli di piante probabilmente avrebbero costituito circa il 95% della sua alimentazione, con insetti, uova e altri piccoli animali costituenti il restante 5%.

Le proteine avrebbero contribuito in una proporzione maggiore all’energia totale derivante dagli alimenti rispetto ad oggi, nonostante la quasi totale derivazione vegetale.

La quantità di carboidrati semplici sarebbe stata minore di quella odierna e sarebbero stati ricavati principalmente da frutta.

Poca o nessuna sarebbe stata la quantità di zuccheri raffinati derivanti da farine o zucchero bianco a differenza di ciò che avviene normalmente oggi.

È possibile che la quantità di amido potesse essere relativamente più alta o tutto sommato in linea con quella odierna.

Le fibre dietetiche invece è presumibile che venissero consumate in quantità notevolmente superiore a quella odierna, con, approssimativamente, un rapporto stimato di 200 g contro i 20 g di oggi.

La fermentazione di queste fibre a carico della flora batterica contenuta negli intestini probabilmente costituiva un contributo significativo al totale calorico giornaliero dal momento che gli acidi grassi a catena corta risultanti dalla fermentazione microbica delle fibre alimentari sono successivamente metabolizzati a livello epatico.

Si stima che il contributo totale della fermentazione all’introito calorico giornaliero possa aver raggiunto anche il 20/30%.

L’introduzione giornaliera di vitamine e minerali era probabilmente molto più alta rispetto ad oggi, escluso lo iodio, il cui consumo è presumibile potesse variare a seconda del sito geografico e della sua vicinanza o meno all’oceano.

Come naturale, per ogni altro mammifero terrestre vivente, la quantità di sodio consumata doveva essere solo una frazione di quella odierna e sostanzialmente molto più bassa rispetto al consumo di potassio.

La disponibilità di vitamine, minerali e antiossidanti doveva essere con tutta probabilità molto più alta di quella riscontrabile nelle odierne alimentazioni praticate nei paesi occidentali.

La quantità totale di grassi saturi, specialmente di quelli determinanti un aumento dei livelli di colesterolo sierico e di grassi trans, doveva essere molto al di sotto di quella riscontrabile nelle alimentazioni dei paesi occidentali.

Anche la quantità di colesterolo consumato è stimato fosse minima.

Le proporzioni tra l’assunzione di omega 6 e omega 3 dovevano essere leggermente a favore degli omega 3, infatti gli acidi grassi polinsaturi che ritroviamo nei vegetali sono principalmente, se non esclusivamente, costituiti da catene di 18 atomi di carbonio o meno come l’acido linoleico e quello linolenico.

Se ne deriva quindi, che il consumo di acidi grassi costituiti da catene di 20 atomi di carbonio come l’acido arachidonico ( AA ) e decosaesanoico ( DHA ) dovevano essere relativamente basse ( per avere una time line dei cambi di dieta durante l’evoluzione della nostra specie consiglio questo articolo ).

https://www.youtube.com/watch?v=5sMqFivWTmk